Secondo la tradizione, per volere di Federico II, fu eretto il palazzo Regio o Palatium di cui si possono ammirare i ruderi sul piano del poggio Torre.
Pare che l’imperatore abbia dimorato nel palazzo di Rametta quando scoppiò una forte epidemia in Palermo.
Lo storico Amico, intorno all’anno 1750, così lo vedeva: “occupa un poggio quasi al centro il palazzo intitolato della Torre grande di non comune magnificenza, con muraglie di solide pietre, triplice ordine di volte, un amplissima cisterna, ammirabile finalmente per le grandi aule, stimata opera di Federico II e spesse volte onorata di sua presenza e dimora in sollievo di salute.
Attingevano quasi tutti i cittadini dalla cisterna prima che cavati si fossero i pozzi…”
Parti del libro “Rometta (storia tradizione leggenda)" di Piero Gazzara
custodito presso la biblioteca comunale di Rometta
O diruto Castel di Federico,
povero e sol sulla spoglia altura,
dov’è il tuo fasto, lo splendor antico,
de le tue vecchie principesche mura ?
Ermo sul colle, sagoma silente
a l’insulto del tempo e al vagabondo,
tu rechi il verbo di passate genti
e porti il lor ricordo al nostro mondo.
Io giovinetto a l’ombre tue ristavo,
quando di Febo dardeggiavan l’ore,
e ai primi voli allor mi cimentavo,
finché la Musa m’aprì il suo cuore.
E scrutando nel tempo il tuo passato,
come sa far chi è poeta,
rivedevo il Re, povero malato,
mirar la valle verdeggiante e cheta,
e a l’aure nostre, aure imbalsamate,
cercar la vita che gli fuggiva già.
Nitrir sentivo indomiti destrieri,
udivo il passo delle cortigiane,
e pensando attento ai tuoi misteri
sognavo que’ giorni d’età lontane.
E se a te ritorno nell’età matura,
stanco, avvilito, e senza meta alcuna,
incerto sosto sotto le tue mura
al ritentar ognor la vecchia rima.
E mi narri ancor d’ancelle e catellane,
e di Rometta la regal fortuna …Ma …
oh! taci, taci, son parole vane!
come invocazioni inutili alla luna!
il secol che volge più non t’intende,
ridendo del colpevol abbandono,
or sulle tue mura la ruina scende
mentre diruto Castel tenevi un trono.
dal libro “Canti nostalgici” di G.Lombardo-Saija